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Il vescovo Salvatore Angelo Cadello Cugia Salvatore Angelo Cadello Cugia nacque a Cagliari il 22 maggio 1696 da Antioco Saturnino e Anna Cugia Portugues. Si laureò a Cagliari in utroque il 29 gennaio 1724, fu ordinato sacerdote e iniziò ad operare nell’arcidiocesi cagliaritana, divenendo parroco di diverse ville. Fu rettore dell’Università cagliaritana dal 4 marzo 1726 per sei anni, quindi canonico della cattedrale, Cancelliere Regio Apostolico e Giudice delle Contestazioni. Dietro presentazione del Re di Sardegna del 29 marzo 1741, fu nominato da Benedetto XIV, vescovo di Ampurias e Civita il 3 luglio successivo. La sua azione episcopale – molto energica – oltre alle visite pastorali, documentate in questa sede, si esplicò in molteplici settori, primo fra tutte l’erezione del Seminario Diocesano, che fondò con decreto del 1759, sollecitato dal viceré Francesco Tana, dotandolo di una rendita – derivata in parte dalla Mitra e in parte dalle prebende – di lire sarde 1.065. Spedì inoltre diverse relazioni alla Santa Sede dalle quali sappiamo che il palazzo vescovile era mediamente comodo – con riferimento forse a quello di Castel Aragonese, attuale Castelsardo – gli Scolopi di Tempio si distinguevano per l’istruzione letteraria, scientifica e religiosa dei giovani e che la situazione finanziaria della Confraternita del Rosario di Nulvi era precaria. Il presule chiese inoltre il reintegro delle rendite dell’abazia di San Michele di Plaiano nel 1751-56, già assegnate ai suoi predecessori da Filippo II nel 1584, anche se la commissione decise di applicarle all’erigendo seminario. Nel luglio del 1760 Cadello domandò – con l’appoggio del fratello Giuseppe, marchese di San Sperate – di essere trasferito alla sede episcopale di Ales, rimasta vacante dopo la morte del vescovo Carcassona. La domanda non fu accolta e, anzi, il presule fu vicino ad essere esautorato. Numerose furono inoltre le difficoltà nel pacificare le lotte tra i capitoli di Ampurias e Civita, tanto che fu invocato l’intervento del pontefice Clemente XIII, il quale con la bolla Decet Romanum Pontificem del 15 luglio 1763, pose fine alle liti stabilendo il silenzio perpetuo sulle antiche controversie e decidendo, d’autorità, come avrebbero dovuto essere ripartiti i redditi delle mense vescovili vacanti. Bolla reiterata poi il 6 agosto 1765 quando il papa, oltre a mettere fine alle liti tra i due capitoli, assegnò il terzo degli spogli e delle sedi vacanti ai seminari. Un’altra difficoltà nell’amministrazione delle diocesi unite fu l’accusa di essere stato trascurato nelle visite pastorali e di poca sorveglianza sul clero, in particolare sui vicari di Nulvi, Bulzi e Chiaramonti, per cui il governo aveva minacciato energiche misure con regio dispaccio. Si trattava – con tutta evidenza – di accuse pretestuose che avevano il solo scopo di allontanare dall’incarico lo zelante presule e magari con lui il suo scomodo congiunto. In effetti proprio all’inizio del suo lungo episcopato giunse in Gallura anche Francesco Ignazio, suo cugino in primo grado – che poi sposò la sorella Maria Angela in terze nozze –, illustre giurista che dal 15 giugno 1743 ricoprì l’incarico di giudice della Reale Udienza e più tardi di consigliere del Supremo Consiglio di Sardegna, per reprimere il banditismo nel nord est dell’isola. A farne le spese furono anche i nobili Francesco Delitala di Nulvi e Giacomo Riccio di Tempio, sospettati di connivenza con i malfattori. Parenti prossimi di questi erano membri dei Capitoli e in quanto tali formularono le accuse contro il vescovo. Tuttavia, al fine di verificare la veridicità delle accuse, il papa incaricò l’arcivescovo di Sassari Carlo Francesco Casanova e sollecitò Cadello a produrre una relazione dettagliata. Fu proprio in quell’occasione che il presule fece compilare il volume che raccoglieva le relazioni delle visite pastorali del 1745, 1752-56 e 1763, in parte studiato e trascritto nel presente lavoro, compilandolo secondo i dettami di una lettera della Sacra Congregazione del Concilio del 18 dicembre 1626, secondo cui – tra le carte da conservare e trascrivere – erano per l’appunto “tutti gli atti delle visite delle Chiese, degli Altari, de’ Cimiterj, e delle Campane, con registro in libro”. Cadello, proprio mentre terminava di preparare le relazioni da inoltrare all’arcivescovo di Sassari, dopo ben 23 anni di episcopato morì a Castel Aragonese il 6 gennaio 1764 .
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